Yoga per il contemporaneo

Una nuova esperienza di yoga e arte, con le lezioni online di Nike e Dérive.

La parola yoga deriva dalla parola sanscrita yuj che significa “unire”: pensiero, parola ed azione diventano una sola cosa, quindi testa, cuore e mani, così come la coscienza individuale e la coscienza universale. Tutto nello yoga diventa unicità. E quando unisci all’esperienza dello yoga quella della musica ambient contemporanea, l’esperienza diventa totalmente immersiva. È quanto vuole offrire Dérive, il progetto pensato da Germano Centobi e Marco Gardenale, che unisce appunto le arti, per «cercare insieme una deriva, che porti a cambiare lo schema mentale e a cercarne di altri», ma anche per «sfuggire al caos della città e della vita di tutti i giorni».

Quando hanno iniziato a immaginarlo, quasi due anni fa, non pensavano che il caos sarebbe stato quello attuale, dovuto a una pandemia, ma è proprio oggi che il loro scopo assume un significato ancora più importante. La prima tappa di questo percorso di sincronicità consiste in un’indagine attraverso 3 video-episodi di “Immersive Yoga Experience” realizzati insieme a Nike, disponibili sulla app Nike Training Club.

Inizialmente era stata pensata come esperienza site specific in alcuni luoghi come le fondazioni artistiche, «ma ripensarla in chiave digitale ci ha permesso di avere delle tracce originali che gli artisti hanno creato per noi in questo periodo di lockdown, a differenza di quanto avrebbero fatto per la loro performance live, oltre al fatto di raggiungere molte più persone contemporaneamente». Tra gli artisti ci sono la dj Elena Colombi, Lamusa II, la sound artist Rebecca Salvadori e il visual artist Gabriele Ottino. L’insegnante è Marco Migliavacca, fondatore di [HOHM] Street Yoga, un’icona della disciplina dello yoga moderno e urbano, inteso come parte integrante della vita quotidiana. Ho partecipato alla prima di queste tre lezioni (le altre due saranno disponibili dal 3 e dal 10 giugno) e, per citarlo, ho fatto una bella riunione con me stessa.

Ⓤ: Un progetto che sembra essere nato apposta per questo periodo di lockdown e di instabilità generale.

Verissimo. Si tratta di un’esperienza che funziona in modo estremamente organico, nonostante le condizioni in cui ci siamo ritrovati a realizzarla. Ne è venuto fuori un montaggio incredibile, nel quale abbiamo cercare di comunicare una visione di insieme. Credo che il ritmo sia stato fondamentale, anzi è necessario per creare qualcosa di immerso ed inclusivo. In questo personalmente mi aiuto molto con le metafore e i simboli che sono poi parte del linguaggio taoista, e aiutano ad accedere all’immaginario collettivo. In sanscrito la pratica del linguaggio è tutto quel lavoro che si fa per accedere alla memoria del corpo, laddove il nostro linguaggio non sia comune. E credo che, così come nella musica, lo yoga abbia una sua struttura matematica. Quello che chiamiamo pratica sono tecniche, ricette di cui devi conoscere la quantità, misurarle, e solo così potrai raggiungere la grazia.

Ⓤ: Quanto lo yoga e la musica sono legati tra loro?

La musica fa parte di uno dei cammini principali dello yoga, se pensi che lo yoga della devozione si basa sul canto di mantra, ossia la musica sacra. La medicina cinese considera il mondo come vibrazione, e gli stessi tessuti del corpo rispondono alle vibrazioni.

Quindi il legame risale alla storia e alla tradizione secolare. Dall’altra parte, dalla mia personale esperienza, credo che la musica aiuti a prestare attenzione al respiro e a mantenere la mente vigile nel presente. Da un lato quindi diventa contenitore, tiene lo spazio, dall’altra parte permette anche di mantenere una certa concentrazione. Non è solo un tappeto ma è parte integrante di tutta l’esperienza. Inoltre ho sempre pensato che lo yoga dovesse adottare il linguaggio della contemporaneità. Uno può immaginarsi lo yoga come l’ascetismo sulla montagna o pensare che la reale sfida sia la metropoli, in cui si deve trovare i proprio equilibrio, con tutto quello che porta questa vita contemporanea. E in questo la musica contemporanea ha un ruolo fondamentale.

Ⓤ: Credi che la tecnologia abbia mostrato il suo lato più creativo?

Trovo che questi mesi di lockdown abbiano permesso a tutti di capire come utilizzarla al meglio. Si tratta di uno strumento che possediamo da molto tempo ormai ma che abbiamo utilizzato spesso in modo incompleto. Guarda con Dérive cosa siamo riusciti a fare. Il contatto fisico è un’altra cosa, certo, ma questo non significa che bisogna andare sempre nel giudizio di quello che manca. Essere adattabili e creativi credo che sia la caratteristica migliore per superare qualsiasi situazione.

Ⓤ: Quanto lo yoga è sport e quanto è meditazione?

Credo che la differenza stia tutta nell’attitudine con la quale tu lo pratichi. Io ritengo che si possa essere un calciatore e fare meditazione mentre si insegue una palla. In fondo la meditazione consiste nell’avere un punto fisso al quale attaccare la tua mente. Certo è difficile distinguerlo perché è appunto unione di tutte le parti, o semplicemente di quelle caratteristiche che sono corpo, mente e respiro. Siamo esseri fatti per il movimento, non siamo disegnati per altro. Direi che l’unica cosa è davvero il modo in cui uno si dispone alla pratica, l’intenzione.

Ⓤ: Come credi che si sia vissuto lo yoga durante questo lockdown? Non temi che sia diventato ancora più una moda?

Quello che ho trovato molto interessante è che questo lockdown ha dato la possibilità a molte persone timide, o che avevano un preconcetto rispetto allo yoga, di provare questa esperienza in totale libertà. Noi possiamo fare il nostro meglio, poi quello che uno riceve non è nostra responsabilità.

Sul fattore moda, credo ci abbiano già pensato i grandi maestri del secolo scorso che dall’India l’hanno portato negli Stati Uniti. Quando tu diffondi qualcosa, a un certo punto diventa tendenza. Io non me ne sono mai preoccupato, credo che faccia parte della storia dell’uomo.

Ⓤ: Dérive è un concetto situazionista, in cui lo straniamento è lo scopo. In che modo le tue lezioni proveranno a raggiungerlo?

Il percorso va visto come fosse una mappa per muoversi nello spazio. Nel primo appuntamento abbiamo messo le basi, ci siamo concentrati sulla stabilità, le misure, abbiamo iniziato a risvegliare le articolazioni principali del corpo. Quindi abbiamo acceso il fuoco. Il secondo episodio sarà dedicato alla mediazione, e alla figura del triangolo, che poi è l’archetipo del guerriero. Per me in questo momento rappresenta la forza che dalla primavera va verso l’estate. Il terzo sarà dedicato all’acqua, quindi è quello più lunare, rivolto alla memoria, all’inconscio, all’ereditario, a tutto ciò che ci caratterizza per come siamo venuti al mondo, al nucleo, alle nostre basi.

Ⓤ: E la tua base?

Sono nato tra tra le risaie del sud milanese, e sono cresciuto tra Milano, Barcellona e Lisbona. La città è stata fondamentale per tutta la mia formazione, attraverso la quale mi ha sempre guidato questo senso di inquietudine che mi caratterizza ancora oggi. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre stimolato: da bambino andavo a teatro, potevo travestirmi, truccarmi come volevo. E dopo il liceo artistico e l’accademia, mentre lavoravo come producer nel campo pubblicitario, ho scoperto lo yoga. Ho mollato tutto e deciso di buttarmi solo su quello. Volevo sentirmi vivo.